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1.    Investire nelle competenze e sull’apprendistato

 

Investire nelle competenze professionali è prioritario, da un lato, per aumentare i livelli di occupazione giovanile creando lavoro di qualità (il tasso di disoccupazione giovanile si attesta al 24% mentre i giovani inattivi (NEET) rappresentano il 23,1% della fascia di età 15-29 anni) e dall’altro, per superare il mismatch delle competenze e le difficoltà di reperimento del personale (ad ottobre 2022 la difficoltà di reperimento si attesta al 45,5%, con un picco del 53,4% per gli operai specializzati e i conduttori di impianti).

Per questo occorre puntare sull’apprendistato professionalizzante come unico canale incentivato di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che consente di crescere e formarsi in un contesto lavorativo, per la formazione di profili professionali individuati dalla contrattazione collettiva.

In particolare, l’apprendistato professionalizzante va sostenuto attraverso:

  • il ripristino della decontribuzione totale per i primi tre anni di contratto per le imprese artigiane e in ogni caso per quelle fino a 9 dipendenti;
  • specifici e stabili incentivi per la copertura dei costi sostenuti dalle imprese per il tutoraggio

dell’apprendista, molto spesso svolto nelle micro e piccole imprese direttamente dal titolare.

D’altronde, ancora oggi l’artigianato continua ad essere il settore con la maggiore vocazione all’utilizzo dell’apprendistato: le assunzioni di apprendisti nelle imprese artigiane rappresentano, infatti, un terzo delle assunzioni di giovani under 30.

I dati sul mismatch, aggravati dalle dinamiche demografiche in continuo peggioramento, dimostrano, inoltre, la necessità di rilanciare l’alternanza scuola – lavoro e l’apprendistato duale, nell’ottica di un più stretto collegamento con i sistemi produttivi dei territori ed una più facile transizione nel mondo del lavoro.

In particolare, per l’apprendistato di primo livello vanno superate le rigidità burocratiche ed una prassi applicativa disomogenea semplificando la gestione del rapporto di lavoro e fornendo quindi maggiori elementi di certezza per i datori di lavoro.

Anche in raccordo con la recente legge di riforma del Sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, il potenziamento degli ITS dipende anche dal rafforzamento dell’apprendistato di terzo livello (di alta formazione e ricerca) cui andrebbe esteso il regime incentivante previsto per l’apprendistato di primo livello (sgravio contributivo totale per i contratti attivati da imprese fino a 9 dipendenti e benefici normativi ed economici di cui all’art. 32 del D.Lgs. n. 151/2015) nonché la possibilità di trasformare, successivamente al conseguimento del diploma ITS, il contratto di apprendistato di terzo livello in apprendistato professionalizzante, allo scopo di conseguire la qualificazione professionale ai fini contrattuali.

L’investimento sul sistema duale necessita inoltre la presenza di un rinnovato sistema di orientamento che sia strutturato in tutto il percorso formativo ma con una attenzione specifica  nei momenti di passaggio da un ciclo di studi ad un altro, affidato ad orientatori specificatamente formati ed aperto agli stakeholder e al territorio di riferimento, e accompagnato da un’efficace attività di informazione/comunicazione capace di far conoscere realtà formative ancora poco note (si pensi agli ITS) o sulle quali gravano pesanti pregiudizi (Istruzione e Formazione Professionale - IeFP), al fine di farne conoscere le potenzialità.

Tali misure possono contribuire, peraltro, a rilanciare l’istruzione e la formazione professionale e quindi i percorsi che prevedono in uscita la maggior parte delle figure professionali richieste dalle imprese, collegate alle filiere produttive della manifattura e del Made in Italy.

2.    Salario minimo legale: contrattazione collettiva unica autorità salariale

 

La determinazione del salario deve rimanere di stretta competenza della contrattazione collettiva, che è centrale anche perché oltre al salario il CCNL determina una serie di tutele ulteriori per i lavoratori come, ad es., le mensilità aggiuntive, le maggiorazioni, le indennità, il welfare di bilateralità, le riduzioni dell’orario di lavoro, i congedi, le maggiori tutele su malattia e maternità. È necessario perciò rafforzare l’autonomia collettiva e la contrattazione collettiva delle Confederazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

La stessa Direttiva europea relativa al salario minimo ha ribadito come la diffusione della contrattazione collettiva di qualità deve essere intesa come un modello virtuoso, in grado di migliorare le condizioni del mercato del lavoro.

3.    Semplificare la normativa e ridurre gli oneri burocratici a carico delle imprese

Le politiche che saranno messe in campo nei prossimi mesi dovranno riconoscere la centralità del lavoro: risorse ed energie importanti vanno allocate per creare impresa, lavoro vero e di qualità, come quello delle PMI, e gli obiettivi di policy devono essere declinati in concrete azioni per rimuovere gli ostacoli che scoraggiano le imprese ad assumere.

Dal punto di vista normativo è pertanto necessario creare un clima di fiducia all’interno delle imprese, attraverso misure giuste e non punitive per gli imprenditori e le loro aspettative: ciò significa, in primo luogo, abbandonare l’attuale rigido assetto regolatorio dei contratti a termine. Chiediamo, dunque, di modificare la disciplina del contratto a tempo determinato in un’ottica di maggiore flessibilità, in netta controtendenza rispetto a quanto fatto negli ultimi anni, nei quali la normativa del contratto a termine è stata particolarmente irrigidita, per disincentivarne la diffusione.

Tali rigidità sono eccessive, non solamente perché penalizzano un contratto che è informato a un principio di pari condizioni a livello normativo ed economico rispetto a un contratto a tempo indeterminato, ma anche perché non tengono in adeguata considerazione il fatto che nelle nostre imprese, nella quasi totalità dei casi, il contratto a termine conduce poi a un’occupazione stabile e di qualità. Le imprese artigiane e le PMI, infatti, fanno un vero e proprio investimento nella formazione del dipendente e non hanno alcun interesse ad un continuo ricambio dei dipendenti.

È importante, pertanto, alleggerire gli oneri a cui sono sottoposte le imprese, sia da un punto di vista economico che organizzativo, ad esempio ampliando le sfere d’azione della contrattazione collettiva, sia con riferimento ai limiti di durata del contratto, sia con riferimento alle causali giustificatrici.

Un altro tema importante è quello del contrasto all’introduzione di nuovi inutili oneri burocratici in materia di lavoro. La burocrazia inutile rappresenta un costo ed un appesantimento per le imprese.

Un esempio in tal senso è rappresentato dal D.Lgs. n. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), attuativo della direttiva comunitaria 1152 del 2019, che ha ampliato il novero delle informazioni che i datori di lavoro devono fornire al momento della stipula del contratto di lavoro ed eliminato l’espressa possibilità, originariamente prevista dall’art. 1, comma 4, del D.Lgs. n. 152/1997, di fornire alcune informazioni (durata periodo di prova, retribuzione, durata delle ferie, orario di lavoro, preavviso) mediante il rinvio alle norme del contratto collettivo applicato.

Una scelta tuttavia in contrasto con le disposizioni della direttiva che prevede espressamente che quelle stesse informazioni possano essere fornite sotto forma di un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi.

Siamo, quindi, di fronte ad un provvedimento che introduce ulteriori aggravi burocratici per le imprese, entrato in vigore in pieno agosto e senza previsione di un periodo transitorio, e che, su alcuni profili, appare ultroneo rispetto a quanto richiesto dalla direttiva comunitaria, configurandosi pertanto come un evidente caso di gold plating. Un provvedimento, inoltre, tuttora caratterizzato da incertezze interpretative che non hanno trovato compiuta risposta nella prassi amministrativa

Anche in virtù del Considerando 48 della direttiva, a mente del quale l’attuazione della stessa non dovrebbe comportare l’introduzione di nuovi oneri per le micro, piccole e medie imprese, appare prioritario un intervento di semplificazione volto in primo luogo a ripristinare la possibilità di rinviare al contratto collettivo il reperimento delle informazioni relative agli aspetti del rapporto di lavoro.

Per rispondere alle esigenze di semplificazione e razionalizzazione della normativa, sarebbe opportuno anche valorizzare il disposto della contrattazione collettiva e consentire ad essa di disciplinare numerosi aspetti del rapporto di lavoro.

Mettere al centro la contrattazione significa fissare a livello normativo una cornice giuridica di riferimento, in grado di essere caratterizzata e riempita dalla contrattazione collettiva. È quanto accade, ad esempio, in materia di contratto di apprendistato, dove la normativa si limita a fissare dei principi e dei criteri che dovranno essere poi declinati dalla contrattazione collettiva. Il contratto collettivo, infatti, è lo strumento migliore per individuare delle regole uniformi per tutti  e che riescano - al tempo stesso - a individuare la soluzione migliore per lo specifico settore/contesto di riferimento.

Per questo motivo, chiediamo di voler impostare le Riforme e gli interventi sulla normativa del lavoro mediante un ampio coinvolgimento delle Parti Sociali e, quindi, con delle regole che prevedano un ampio rinvio alla contrattazione collettiva comparativamente più rappresentativa a livello nazionale.

4.   Politiche Attive

Le politiche attive possono svolgere un ruolo fondamentale sia nella riduzione del mismatch tra domanda e offerta di lavoro che nella riqualificazione e aggiornamento professionale dei  lavoratori coinvolti in processi di riorganizzazione aziendale.

Per questo motivo il fallimento del reddito di cittadinanza come strumento di politica attiva del lavoro impone una riforma dello strumento che vada nella direzione di mantenere nettamente distinte le misure di assistenzialismo nei confronti di coloro che sono nelle fasce di maggiore difficoltà e non in grado di lavorare da quelle di sostegno all’inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro. Per coloro che possono essere reinseriti nel mercato del lavoro la soluzione non è rappresentata da un mero sostegno economico ma deve essere il lavoro, la formazione, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro.

Nel processo di riforma delle politiche attive dovrà essere valorizzato il ruolo delle agenzie per il lavoro e l’attività dei Fondi interprofessionali per l’aggiornamento e la riqualificazione delle competenze.

Le Organizzazioni di rappresentanza dovranno avere un ruolo fondamentale nella nuova governance delle politiche attive, in quanto si tratta di soggetti che sono profondamente radicati nei territori, che conoscono i fabbisogni delle imprese e sono quindi in grado di accompagnare i processi di transizione e i cambiamenti del mercato del lavoro.

5.    La previdenza

La centralità del tema delle pensioni, legata anche al progressivo invecchiamento della popolazione, rende necessario garantire meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto sostenibile ancorato al sistema contributivo e l’individuazione di soluzioni per i lavoratori autonomi, cui va estesa, ai fini dei benefici pensionistici, la normativa sul lavoro usurante.

Opzione donna andrebbe resa strutturale eliminando anche l’ingiustificata disparità di trattamento fra lavoratrici dipendenti e autonome sia per quanto riguarda l’età anagrafica di accesso alla misura, che per quanto riguarda le finestre di accesso al trattamento pensionistico.

6.    La produttività

E’ fondamentale incentivare la produttività delle imprese, partendo da un potenziamento delle agevolazioni sui premi di produttività e dalla loro semplificazione.

Per godere del beneficio è oggi necessario che vi sia un contratto di secondo livello (aziendale o territoriale) che regolamenti i parametri e gli indicatori in forza dei quali è possibile riscontrare l’effettivo implemento.

L’attuazione della misura non è stata particolarmente incisiva nelle imprese artigiane e di minori dimensioni, a causa di una serie di difficoltà riscontrate nella misurazione dei suddetti criteri e indicatori di crescita.

Per questo motivo si chiede di voler valorizzare il requisito dell’accordo territoriale, che è proprio delle imprese artigiane, consentendo alle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative di individuare le condizioni necessarie per beneficiare della misura, senza gravare i datori di lavoro di ulteriori adempimenti.

Inoltre, la normativa sui premi di produttività prevede anche un meccanismo di decontribuzione

per le sole imprese che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Anche questa misura è da implementare, in quanto essa produce un doppio beneficio, abbattendo il costo del lavoro sia a vantaggio del lavoratore, sia a vantaggio del datore di lavoro.

Sarebbe auspicabile, pertanto, consentire alla contrattazione collettiva comparativamente più rappresentativa di individuare ulteriori casistiche per le quali poter accedere al beneficio.

6.    Il costo del lavoro

Il costo del lavoro è una delle maggiori preoccupazioni per le piccole imprese e troppo spesso è il principale ostacolo alle nuove possibilità di sviluppo e agli investimenti.

Dovrà quindi essere prioritario nelle politiche del lavoro elaborare un piano strutturale di riduzione del costo del lavoro, con tappe ben precise, che parta da un’attenta analisi delle varie voci che compongono gli elementi della retribuzione contribuzione, al fine di comprendere quali sono i margini di intervento per ridurre il gap esistente tra costo del lavoro sostenuto dal datore di lavoro e retribuzione netta percepita dai dipendenti.

Sul tema è necessario precisare, inoltre, che gli specifici incentivi che nel corso degli anni hanno interessato varie categorie di lavoratori (es. donne, giovani under 35, residenti in zone svantaggiate etc.) talvolta non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, anche a causa delle incertezze applicative.

Il continuo cambiamento delle regole e dei criteri sottesi agli incentivi e le indicazioni di prassi – talvolta tardive e contrastanti - hanno spesso creato difficoltà e instabilità nel mercato del lavoro, e, quindi, non hanno ingenerato quella fiducia necessaria per dare slancio all’occupazione e abbattere in modo sostanziale il costo del lavoro.

8.    La bilateralità

Per quanto concerne la contribuzione alla bilateralità, si segnala la necessità di chiarirne, in via normativa, il corretto inquadramento del regime fiscale.

Gli accordi collettivi dell’artigianato sanciscono un diritto soggettivo dei dipendenti a fruire di alcune tutele a integrazione e/o sostegno al reddito. Tali tutele sono veicolate principalmente sulla base di un sistema di natura mutualistica, finanziato dalla contribuzione versata dal datore di lavoro e riscossa dall’Ente Bilaterale Nazionale dell’Artigianato (EBNA).

Sul tema dei contributi o versamenti alla Bilateralità, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate nel 2018, che - in rottura con la prassi e le interpretazioni dominanti - ha ritenuto che i contributi versati dal datore di lavoro all’Ente Bilaterale costituiscono reddito da lavoro dipendente.

Si tratta di un’interpretazione non condivisibile, rispetto alla quale sarebbe auspicabile un diverso pronunciamento normativo.

Si ritiene, infatti, che la contribuzione versata all’EBNA non costituisca elemento retributivo per il dipendente e non debba quindi concorrere a formarne il relativo reddito di lavoro ai sensi dell’art. 51 del Tuir.

L’assenza di rilevanza reddituale deriva dal fatto che l'iscrizione all’Ente Bilaterale, in coerenza con i principi e le disposizioni previste dalla Carta costituzionale in materia di libertà associativa e di libertà sindacale negativa, non è normativamente obbligatoria, ma rappresenta uno strumento a favore delle imprese, considerate le peculiarità e le necessità di tutela proprie del settore.

L’iscrizione disposta dal datore di lavoro risponde, quindi, ad un esclusivo interesse di quest’ultimo che così, al verificarsi di determinati eventi, mutualizza il rischio di dover erogare direttamente ai dipendenti interessati ulteriori retribuzioni e prestazioni a sostegno del reddito.

Il versamento contributivo all’Ente Bilaterale, di conseguenza, non può configurarsi quale arricchimento per il dipendente e, quindi, reddito per lo stesso ai sensi degli artt. 1 e 6 del Tuir.

Per questo motivo, si chiede di voler intervenire in via normativa specificando che i contributi versati alla Bilateralità artigiana da parte del datore di lavoro NON costituiscono reddito da lavoro dipendente.